L'Amletico

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Hamish Steele, “Pantheon. The true story of the Egyptian deities”

 La via che mi ha condotto a questa lettura credo che sia degna del tragitto che la barca solare di Ra deve fare durante la notte, come racconta il “Libro delle Porte”. Non mi nascondo: sono un appassionato di arte e storia dell’Antico Egitto. Il racconto parte da qui, ma sto scherzando, la farò breve.

Qualche tempo fa sono incappato in un’interessantissima conferenza tenuta dal brillante egittologo Luigi Prada dal titolo “Sensualità, sesso e oscenità fra Egitto antico e moderna Egittologia” (che potete trovare su YouTube), durante la quale Prada consigliava la lettura di un fumetto - un fumetto! - dal titolo “Pantheon. The true story of the Egyptian deities”, di Hamish Steele, ed eccoci qua.

Bisogna partire dal presupposto che oltre al nobilissimo scopo di dare una spiegazione ai fenomeni che governano il mondo, i racconti mitologici sono appunto tali, dei racconti, e quindi avevano anche l’obiettivo di intrattenere. Va da sé che per sopravvivere al tempo un racconto non dovesse essere solo importante, ma dovesse anche avere un grado di godibilità che ne assecondasse la diffusione e la sopravvivenza. Sono passati millenni e ancora, qui e là, le vicende di alcune fra le più importanti divinità egizie fanno capolino nelle nostre vite moderne. Immagino che questa possa essere utilizzata come prova del vincente connubio, in simili miti, fra legittimazione religiosa e gradevolezza narrativa.

Nel corso della sua lezione, Prada ha sottolineato inoltre l’aspetto che si potrebbe definire “impudico” di uno dei miti egizi più importanti e famosi: lo scontro fra Horus e Seth.

Le divinità egizie, che forse tendiamo ad immaginare irreprensibili e adamantine come le pietre che ce ne trasmettono le immagini, non erano in realtà estranee a quelle che oggi si potrebbero definire oscenità. I primi traduttori del geroglifico, a cavallo fra i pudori dell’epoca vittoriana ed edoardiana, trovavano talmente imbarazzanti alcune vicende dal tradurre i geroglifici non nelle loro lingue madri, ma in latino.

Invece, Hamish Steele, nel 2017, accantonata definitivamente l’elegante dissimulazione del latino, impiega la manifesta via del fumetto per illustrare, è il caso di dirlo, ed enfatizzare l’aspetto sessualmente esplicito ed esilarante dell’antichissimo mito.

Se ci si sofferma a pensare per un momento all’operazione di Steele si potrebbe affermare quanto in realtà egli sia conservatore, non innovatore! Si potrebbe arrivare a dire che egli abbia restaurato il mezzo visivo nel racconto delle vicende di Horus e Seth, riplasmando la materia dei geroglifici per tradurla in fumetti: la struttura comunicativa geroglifica prevede immagini affiancate da un testo; le immagini sono parlanti, i testi parlano spesso in prima persona e l’immagine è parte integrante del racconto, è essa stessa una parte del testo.

Raccontare, quindi, le vicende degli dei egizi per mezzo di un fumetto mi è sembrata la tappa finale di uno sviluppo estremamente coerente.

Se, come dice Prada, il racconto dei miti era anche una forma di intrattenimento, Steele non solo ha risarcito l’aspetto visivo di un testo geroglifico, ma ne ha anche ristabilito la forza comica.

La personale ironia dell’autore riesce a veicolare la naturale irriverenza delle vicende degli dei, anzi, a trovare una strada per mettere in contatto un umorismo millenario col nostro contemporaneo. Restando estremamente fedele al testo geroglifico, distaccandosene quel tanto che basta ad allineare, se così si può dire, il fattore comico alla nostra capacità di comprensione, Steele è rimasto estremamente rispettoso della fonte, oserei dire filologicamente corretto.

I suoi disegni sono semplificati e caricaturali e danno agli dei egizi quella comicità fisica che non si può trovare nelle loro rappresentazioni canoniche, fortemente formali.

Devo dirlo, mi sono letteralmente sbellicato dal ridere leggendo le antiche mitologie affiancate a battute che strizzano l’occhio ad un umorismo estremamente pop, con incursioni da “Sailor Moon” a “Chi vuol essere milionario”.

Leggere e guardare “Pantheon” è stato un piacere che non avrei immaginato così grande.

Steele, nuovo sacerdote, ha eseguito la famosa cerimonia dell’apertura della bocca per ridare voce ad un mito antico di millenni ma che ancora, evidentemente, mantiene incorrotto il potere formidabile di divertire, comunicando una storia che racconta della lotta fra il bene e il male e di come l’equilibrio delle cose debba in realtà trovare una sintesi fra i due poli, senza che uno prevalga sull’altro.

L’antica saggezza egizia parla per mezzo dei disegni di Steele, e dà forse un insegnamento più attraente, e più verosimile, rispetto ad altre morali puriste che via via, nei millenni successivi, hanno cercato di debellare il male dall’uomo.

“Pantheon” mostra come il male sia parte integrante degli esseri umani, di come l’equilibrio delle parti dia al cuore lo stesso peso della piuma di Maat sulla famosa bilancia, facendolo nel miglior modo possibile: divertendo.

Si può chiedere di più ad un libro? Seguite il mio consiglio, che siate egittomani o meno: leggete “Pantheon” (che, per quanto il testo inglese sia di facile comprensione, esiste anche in traduzione italiana) e godetevi gli antichi dei egizi come non li avete mai visti. Sono sicuro che ne rimarrete stupiti!